Anagrafe nazionale antifascista, il comune di Stazzema lancia l’iniziativa

30.12.2017 Redazione Italia

Anagrafe nazionale antifascista, il comune di Stazzema lancia l’iniziativa

Al via l’iniziativa dell’Anagrafe Nazionale Antifascista, promossa dal comune di Stazzema. Maurizio Verona, sindaco del comune in provincia di Lucca, ha così affermato all’indomani del lancio dell’iniziativa: «L’idea nasce proprio perché nel 2018 si celebrano i 70 anni della nostra Costituzione, credo che il mio Comune rappresenti un territorio che ha contribuito non poco alla nascita della Costituzione italiana, con i valori che contiene: la nascita dell’Anagrafe e il voler far sottoscrivere una Carta che ne riconosca i valori a quanti vogliano aderire serve proprio a rafforzare i valori della Costituzione stessa».
Le adesioni inizieranno ufficialmente a partire dal 2018, anno in cui cade la ricorrenza – come prima citato – del settantesimo dell’approvazione della Costituzione del 1948, tuttavia il Comune di Stazzema sul proprio sito ha avviato un modulo di pre adesione al registro nazionale.
È stata un’idea nata «timidamente», ha poi continuato il Primo Cittadino, il quale ammette che stia «procedendo bene e riscuotendo sempre maggiori consensi; ritengo che ciò aiuterà a fare crescere questo Comune virtuale; mi auguro che interessati all’iscrizione siano moltissimi cittadini italiani, che si riconoscono nei valori della Costituzione e combattono le intolleranze e le diversità, chi si riconosce in quest’Anagrafe riconosce questi valori».

Questo il testo a supporto dell’iniziativa:

Settanta anni fa, il 1° gennaio 1948, entrava in vigore la Costituzione Repubblicana dopo anni di regime fascista e di occupazione nazista che avevano annullato tutte le libertà personali, associative discriminando e perseguitando gli oppositori a seconda del pensiero, per l’appartenenza religiosa, razziale, etnica.
Tutti insieme vogliamo assumerci un impegno.

Aderendo al Comune Virtuale Antifascista e sottoscrivendo questo documento:
Affermiamo la responsabilità di ciascuno in merito alla possibilità per tutti di poter crescere e prosperare nel rispetto dell’altro, di poter esprimere liberamente le proprie opinioni senza discriminazioni di pensiero, razza, religione, orientamento politico, sesso, orientamento sessuale, condizione sociale ed arrivare all’obiettivo per ciascuno di accedere ad una informazione che diventi strumento di conoscenza su cui costruire un mondo senza più paure, guerre, oppressioni e fame.
Affermiamo il diritto di ciascuno ed in particolare dei bambini del mondo a vivere in sicurezza, avendo gli strumenti per conoscere il passato e costruirsi un futuro.
Entrare a far parte di questa Comunità significa non solo aderire, ma condividere un impegno: la Costituzione nasce dalla Guerra al nazifascismo, stabilendo le regole di una convivenza in cui ciascuno possa sentirsi uguale agli altri. Questa Comunità fa propri i valori della Costituzione Repubblicana e del Parco Nazionale della pace di Sant’Anna di Stazzema.
Una comunità a cui tutti possono aderire senza distinzione di età, nazionalità, condizione sociale, genere, pensiero politico per lasciare alle generazioni future un mondo senza più guerre

Per Danilo Dolci, nel XX anniversario della scomparsa

Per Danilo Dolci, nel XX anniversario della scomparsa
Danilo Dolci con Peppino Impastato (Foto di centroimpastato.it)

Ricorre il 30 dicembre il ventesimo anniversario della scomparsa di Danilo Dolci, che fu definito “il Gandhi italiano”.
E’ stato una delle figure più luminose della nonviolenza, generosissimo militante per la pace, la giustizia, la solidarietà, un educatore e un poeta.
Come tante altre persone anch’io molte cose ho imparato da lui, anch’io ho avuto il suo aiuto ogni volta che glielo chiesi, anch’io ne serbo una memoria grata che non si estingue.
Era l’umanità come dovrebbe essere.
Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo si adoperi per farne conoscere ai giovani la figura, l’azione, le riflessioni, le opere.

Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” * * *

Allegato primo: Una breve notizia su Danilo Dolci
Danilo Dolci è nato a Sesana (Trieste) il 28 giugno 1924, arrestato a Genova nel ’43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel ’50 partecipa all’esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal ’52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignità. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, è tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. è scomparso il 30 dicembre 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo “Costruire il cambiamento” ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): “Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a metà strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre più povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno dà inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorità si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all’opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo “sciopero alla rovescia”, con centinaia di disoccupati – subito fermati dalla polizia – impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il “Centro studi e iniziative per la piena occupazione”. Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, “continuazione della Resistenza, senza sparare”. Si intensifica, intanto, l’attività di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse – gravi e circostanziate – rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l’allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarietà, in Italia e all’estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci è solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che è davvero rivoluzionario è il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verità preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. è convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell’estremo angolo occidentale della Sicilia. è proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l’idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un’arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, però, la richiesta di acqua per tutti, di “acqua democratica”, incontrerà ostacoli d’ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima è ora coltivabile; l’irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l’attenzione alla qualità dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l’artigianato e l’espressione artistica locali. L’impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all’effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialità. Col contributo di esperti internazionali si avvia l’esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre più intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre società connessi al procedere della massificazione, all’emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della “scienza della complessità” e alle nuove scoperte in campo biologico, propone “all’educatore che è in ognuno al mondo” una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul “reciproco adattamento creativo” (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti più recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci è ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita”. Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi è Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione più recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l’evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Recente è il volume che pubblica il rilevante carteggio Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull’opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta, Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. i dvd di Alberto Castiglione: Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004, e Verso un mondo nuovo, 2006.

* * *

Allegato secondo:: Cantata per Danilo

Giunse Danilo da molto lontano
in questo paese senza speranza
ma la speranza c’era, solo mancava
Danilo per trovarcela nel cuore.

Giunse Danilo armato di niente
per vincere i signori potentissimi
ma non così potenti erano poi,
solo occorreva che venisse Danilo.

Giunse Danilo e volle essere uno
di noi, come noi, senza apparecchi
ma ci voleva di essere Danilo
per averne la tenacia, che rompe la pietra.

Giunse Danilo e le conobbe tutte
le nostre sventure, la fame e la galera.
Ma fu così che Danilo ci raggiunse
e resuscitò in noi la nostra forza.

Giunse Danilo inventando cose nuove
che erano quelle che sempre erano nostre:
il digiuno, la pazienza, l’ascolto per consiglio
e dopo la verifica in comune, il comune deliberare e il fare.

Giunse Danilo, e più non se ne andò.
Quando morì restò con noi per sempre.

#26D: Oltre venti città contro il lavoro festivo!

 

27.12.2017 Redazione Italia

#26D: Oltre venti città contro il lavoro festivo!

“Festivi al Lavoro? No Grazie!” Potere al Popolo si mobilita contro l’apertura degli esercizi commerciali durante i giorni festivi.

Oggi [ieri, ndr] 26 dicembre, mentre sono ancora in corso le festività natalizie, centinaia di persone hanno risposto all’appello lanciato dalle attiviste e dagli attivisti di Potere al Popolo contro l’apertura degli esercizi commerciali le domeniche e i giorni festivi in sostegno e solidarietà a tutti coloro che in vacanza, ormai, non ci possono andare.

In venti città (Reggio Calabria, Cosenza, Lecce, Napoli, Roma, Torino, Pescara, Genova, Pavia, Padova, Bergamo, Molfetta, Mantova, Salerno, Milano, Livorno, Termoli, Piombino, Castelli Romani, Grosseto) si sono svolti volantinaggi e speakeraggi fuori ai maggiori centri commerciali aperti (solo per nominarne alcuni: Ikea, Carrefour, Auchan, Coop, Conad). Moltissimi clienti hanno consegnato alla cassa il volantino preparato per la giornata per dimostrare la solidarietà alle migliaia di lavoratori e lavoratrici costretti sul luogo di lavoro anche in un giorno festivo come questo, che dovrebbe essere dedicato alla vita, agli affetti, al riposo.

A Roma, alla Stazione Termini, alcuni Babbi Natale hanno iniziato a distribuire regali come “festività pagate”, “internalizzazioni”, “stabilizzazioni”, “riduzione dell’orario di lavoro”, “più salari”, fra l’iniziale stupore e poi la partecipazione di decine di presenti…

“Siamo qui per dire una cosa banale ma che nell’Italia di oggi sembra straordinaria: non si possono sfruttare e ricattare le persone, non si possono distruggere i diritti, i legami familiari e amicali, non si può incentivare un popolo al consumo in ogni momento, cancellando luoghi d’incontro reali e reti di quartiere. E’ importante ricominciare a conquistare spazi e tempi per la socialità e gli affetti. In Italia il processo di liberalizzazione delle attività commerciali comincia con il decreto Bersani e continua con Berlusconi e Monti. La chiamano liberalizzazione ma la libertà è solo quella dei proprietari della grande distribuzione di tenere i centri commerciali aperti più a lungo, senza nuove assunzioni, senza pagare il lavoro notturno e tagliando il costo del lavoro. Chi va a fare la spesa di notte o nei festivi non lo fa per piacere ma spesso perchè sono gli unici momenti in cui può farlo, dovendosi barcamenare tra più lavori, precarietà e flessibilità crescente. Potere al popolo è dal lato dei lavoratori sfruttati, per la riduzione dell’orario di lavoro e l’aumento dei salari, per una società dove al centro non ci sia il consumo e il profitto, ma le esigenze delle persone”.

Ufficio Stampa “Potere al Popolo”

Niger: non mitraglie, ma pompe d’acqua

26.12.2017 Francesco Gesualdi

Niger: non mitraglie, ma pompe d’acqua
(Foto di africa924 / Shutterstock.com)

Alla vigilia di Natale, Paolo Gentiloni ha annunciato di voler trasferire in Niger parte del contingente italiano presente in Iraq. Ed ha dato tre motivazioni per questa scelta: consolidare il paese, sconfiggere il traffico di esseri umani, combattere il terrorismo. Tre situazioni che hanno bisogno di essere analizzate in dettaglio per capire se si tratta di vere motivazioni o di retorica.

Stabilità: . tutti riconoscono che in Niger, come negli altri paesi del Sahel, c’è un’assenza crescente di stato. O meglio lo stato c’è, ma non al servizio della popolazione, bensì di un’élite. Dal 1960, anno di indipendenza, il Niger ha conosciuto almeno sette regimi civili e quattro colpi di stato militari. Il potere è conteso fra esercito, politici di carriera, grandi commercianti, capi religiosi. Lo stesso Mahadou Issoufou, attuale capo di governo, è oggetto di molte critiche e se la missione italiana si prefiggesse di dare stabilità all’attuale classe politica si renderebbe complice di quella che Jean-François Bayart studioso dell’Africa sub-sahariana, chiama privatizzazione dello stato.

In un articolo del 16 agosto 2017, le Monde denuncia che in Mali, Niger e Mauritania, “il sistema politico è detenuto da un’élite predatrice che ha dato il colpo finale a ciò che rimaneva dello stato” E i risultati si vedono: Secondo il rapporto della Banca Mondiale “Le visage humain d’une crise regionale” metà della popolazione del Niger vive al di sotto della soglia della povertà. Il 44% dei bambini sotto i cinque anni soffre di un ritardo di crescita, mentre il livello medio di scolarizzazione è di un anno e mezzo. Le cliniche private per l’élite, si moltiplicano nella capitale, ma gli ospedali pubblici per la gente comune, sono piuttosto luoghi di morte che di cura.

E ciò nonostante il Niger dispone di una decina di campi profughi in cui ospita 166 000 rifugiati. Non persone che vogliono mettersi in viaggio per raggiungere l’Europa, ma persone che aspettano che torni la pace nei propri villaggi per tornarsene a casa in Mali o in Nigeria. Ad essi si aggiungono le decine di migliaia di migranti che mettono piede sul suolo nigerino non per restarvi, ma per transitare. Il loro punto di ritrovo è Agadez, porta del deserto, dove il linguaggio utilizzato è diverso dal nostro. Consci dei rischi che si apprestano ad affrontare, i migranti si autodefiniscono “avventurieri”, mentre i proprietari di camion che li porteranno alla frontiera libica sono chiamati passeurs, trasportatori, non trafficanti d’uomini. In Niger se di qualcosa i migranti si lamentano è per i prezzi esosi, non per la tratta. Per il costo del viaggio, per il costo dei viveri e dell’acqua, per le bustarelle da dare ai poliziotti affinché li lascino passare nonostante la mancanza di documenti appropriati. Molti arrivano all’ultima oasi nigerina che non hanno più soldi e allora si fermano per mesi sperando di trovare un lavoro che permetta di raggranellare i soldi necessari a pagare il passaggio che li porti in Libia. Poliziotti, proprietari di camion, gestori di negozi, tutti cercano di strizzare i migranti di passaggio, ma non vanno nei villaggi della Nigeria, del Mali o del Senegal a prelevare giovani da deportare con la forza in Libia. Ed allora cosa significa combattere i trafficanti d’uomini? Arrestare un’intera regione e sequestrare un’intera economia? Non ci sarebbe piuttosto da combattere le cause della disoccupazione che spingono centinaia di migliaia di giovani ad affrontare financo la morte pur di cercare un futuro migliore in un continente ostile come l’Europa?

Combattere il terrorismo è la terza motivazione portata da Gentiloni. Il terrorismo esiste, ma troppo spesso è usato come alibi per avventure militari di ben altro genere. Considerato che in Niger ci sono già contingenti francesi, statunitensi e tedeschi, con l’arrivo degli italiani, gli eserciti stranieri presenti nel paese saranno quattro. I francesi ci sono addirittura dal 1961. Non era ancora trascorso un anno dall’indipendenza, che il nuovo governo del Niger aveva già firmato un accordo che garantiva alla Francia “la libera disposizione delle installazioni militari necessarie ai bisogni della difesa”. Ufficialmente il colonialismo era finito, ma in zona rimanevano da proteggere gli interessi delle compagnie francesi che qualche anno più tardi si sarebbero arricchite dello sfruttamento di uranio.

E’ arrivato il tempo di riconoscere che terrorismo è espressione di malcontento e disperazione. E come ci ha ammonito Hiroute Guebre Sellassie, incaricata delle Nazioni Unite per il Sahel, “se non si fa nulla per migliorare l’istruzione, per creare occupazione e opportunità per i giovani, il Sahel sarà non solo un incubatore di migrazione di massa, ma anche di reclutamento terroristico”. Allora non sono i soldati che dobbiamo mandare in Niger, ma medici, infermieri e insegnanti. Non mitraglie, ma pompe d’acqua, perché mai come oggi le parole di Pertini risultano vere: “Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgenti di vita per milioni di vite umane che lottano contro la fame”.

Affossato lo Ius soli. Siamo indignati, una pagina incivile il Paese

25.12.2017 Articolo 21

Affossato lo Ius soli. Siamo indignati, una pagina incivile il Paese
(Foto di Art. 21)

Doveva essere un gesto di civiltà come qualcuno ha detto tempo fa invece si chiude nel modo più incivile possibile, lo Ius soli non verrà approvato, basta ipocrisie elettorali. Le Camere stanno per sciogliersi come anche l’ipotesi di approvazione di questa legge come neve al sole. Non lo sapeva nessuno? Chiediamo scusa agli 800 mila compagni di classe dei nostri figli, adulti di domani, che vedranno negati ancora una volta i loro diritti.

Provo vergogna nel vedere come una riforma moderata nei contenuti e così necessaria nella sostanza non trovi spazio al pari di tante altre. Ciò che fa più male non è solo la mancata tenuta dell’intesa o la feroce e assurda opposizione di alcune forze politiche di questi mesi bensì le ostinate dichiarazioni di alcuni esponenti politici di primo piano che fino a questa mattina in pubblico e in privato, sui media o nei convegni, insistono nel dire che la legge verrà approvata, mentendo sapendo di mentire. E’ un atteggiamento davvero inaccettabile quando si tratta di bambini e ragazzi. L’Italia ha violato l’art.2 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in materia di non discriminazione, è un dato di fatto malgrado le continue raccomandazioni dei Comitati Onu.

Questi giovani italiani finiscono nel dimenticatoio mentre parte la gara alle candidature, le trattative sui collegi, le maratone tv, gli scandali di una classe politica che spero risponda di quanto accaduto agli elettori. In tanti però si sono spesi per questa causa. Esiste una buona Italia che come sempre sopperirà alle assurdità dei calcoli elettorali. Saranno quei cittadini della società civile e delle associazioni che continueranno a lavorare seriamente ogni giorno per arginare i danni di questo ennesimo scempio parlamentare e faranno capire a questi 800 mila minori quanto essi contino per gli adulti responsabili del Paese. E’ una brutta pagina della nostra storia repubblicana quella che si consumerà allo sciogliersi delle Camere dopo Natale che sul tema della cittadinanza si ripete tristemente oramai da dieci anni. Siamo indignati.

In Africa avanza il digitale

25.12.2017 Unimondo

In Africa avanza il digitale
(Foto di yeesalhub.org)

Il sito di informazione ICT Africa ha lanciato una campagna di raccolta fondi per realizzare un data-base sull’innovazione digitale in Africa. L’idea è di creare un elenco di tutto quanto si muove intorno alle nuove tecnologie nel continente: reti mobili, applicazioni per smartphone, trasferimenti di denaro tramite cellulare, progetti di e-learning, sistemi di voto elettronico, imprenditoria sociale…

L’iniziativa potrebbe stupire, se si pensa a quanto il digital divide colpisca il continente, dove un’ampia porzione della popolazione, soprattutto nelle aree rurali, non ha accesso alla rete (Global Information Technology Report, 2016). Tuttavia, fermo restando tale dato, cresce la spinta verso la produzione di idee e startup innovative. Non a caso, nel 2017 sono stati proprio due imprenditori africani, in Rwanda ed in Nigeria, ad aggiudicarsi il premio “ICT for Social Good” promosso dal network Ong 2.0 per la miglior impresa sociale che utilizza le nuove tecnologie ICT (Information and Communication Technologies): ben 233 proposte erano state inviate da 57 paesi del mondo, di cui il 67% dall’Africa.

In base a quanto emerge dalla mappa delle utenze internet nel mondo realizzata da due ricercatori britannici dell’Oxford Internet Institute, 3,2 miliardi di persone hanno accesso a Internet (meno della metà della popolazione mondiale): l’Asia contribuisce con 1,24 miliardi di utenti (il 46% del totale); gli Usa e l’America Latina sono più o meno allo stesso livello (297 milioni e 287 milioni di utenti); l’Africa conta 1 miliardo di abitanti, eppure sono solo 200 milioni coloro che possono accedere alla rete. È un dato in crescita, ma il continente resta diviso al suo interno: Sudafrica, Kenya, Nigeria, Egitto e Marocco sono “leader” mentre la fascia Subsahariana non riesce a toccare il 10%.

All’interno di questa seppur critica cornice, processi di innovazione digitale sono in corso, in modo dinamico, in molti paesi del continente. Già nel 2011, il rapporto Africa mobile observatory ha definito quello africano come il secondo mercato al mondo per la telefonia mobile e, sul piano delle nuove imprese, la Nigeria nel 2015 ha eguagliato la Germania per numero di nuove attività nate (GEM – Global Entrepreneurship Monitor). Come conferma il web-reportage Connecting Africa realizzato nel 2016 con il supporto dello European Journalism Centre: “Esiste un reale movimento Panafricano di centri tecnologici che sta incoraggiando il community building e lo sviluppo di giovani innovatori. Ci sono oggi circa 100 laboratori tecnologici in 28 paesi in Africa. Un trend in espansione, alla velocità di un nuovo hub ogni due settimane.

Sempre più giovani africani stanno sviluppando applicazioni focalizzate sui bisogni locali. Interessante è l’esperienza di Yeesal Agrihub, nato dalla volontà di giovani appassionati ed esperti di agricoltura con il fine di creare uno spazio di scambio, condivisione e accompagnamento all’implementazione di progetti d’impresa che si avvalgono delle tecnologie ICT per far fronte a problemi quotidiani vissuti dagli agricoltori. Adalbert Diouf, coordinatore di questo primo Agri Tech Hub del Senegal, spiega: «L’agricoltura è un pilastro importante dell’economia senegalese e impiega quasi il 60% della popolazione. Tuttavia, resta in gran parte tradizionale ed i giovani fino a poco tempo fa la vedevano come un’attività povera e non redditizia». “Yeesal” è un termine wolof che significa “rinnovare”. Yeesal Agri Hub, in quanto polo d’innovazione in agricoltura, sta mostrando le potenzialità che esistono nel settore, sta formando i giovani a costruire un progetto d’impresa e di vita declinato secondo i principi dell’agroecologia e di un business rispettoso dell’ambiente, e sta fornendo concrete alternative alla disoccupazione e alle migrazioni economiche. Tra i partner che hanno voluto scommettere su questo progetto si contano, tra gli altri, la FAO, la GIZ – cooperazione tedesca e l’ong italiana LVIA.

Qualche empio di come le ICT risolvono problemi vissuti quotidianamente dagli agricoltori in Africa?

Nella recente Settimana dell’Imprenditoria Agricola che l’equipe di Yeesal Agrihub ha organizzato nella città di Thiès in Senegal nel mese di novembre, tra i formatori c’era Aboubacar Sidy Sonko, fondatore di Mlouma, una piattaforma made-in-Senegal di commercializzazione dei prodotti agricoli. Il giovane imprenditore è partito dalla constatazione di quanto i produttori in Senegal siano penalizzati dalla mancanza d’informazione sul prezzo corrente di mercato delle derrate agricole. La piattaforma, dando indicazioni sicure e in tempo reale su tali prezzi, permette agli agricoltori di aumentare il potere di negoziazione con gli intermediari che acquistano i loro prodotti e quindi di guadagnare di più, il giusto, dal proprio lavoro. La piattaforma, dapprima solo disponibile sul web, è oggi consultabile anche off-line con tecnologia USSD supportata da quasi tutti i telefoni cellulari, in modo da permettere anche ai produttori che non hanno connessione ad internet e smartphone, di accedere a queste informazioni.

Tra le altre soluzioni tecnologiche realizzate da imprenditori ed imprenditrici senegalesi si possono citare anche Daral Technologie, una piattaforma che con un sistema di allerta tramite SMS sul telefono cellulare informa gli allevatori sulla presenza di malattie animali, aiutandoli a prevenire la proliferazione di epidemie tra il proprio bestiame, e Sooretul, una piattaforma di e-commerce di prodotti agricoli che permette di accedere ai principali network di vendita, spesso non raggiungibili dai piccoli produttori. Altre storie e tecnologie sono documentate su Agritools.org un progetto di ricerca giornalistica che indaga come le tecnologie ICT stanno trasformando le pratiche di agricoltura, pesca e allevamento in Africa.

Sudan del Sud: concordato il cessate il fuoco a partire dalla notte di Natale!

22.12.2017 Associazione per i Popoli Minacciati

Sudan del Sud: concordato il cessate il fuoco a partire dalla notte di Natale!
(Foto di UNMISS via Flickr)

Per i Sudsudanesi è il più bel regalo di Natale: dopo 4 anni, la guerra civile prossima alla fine!

Per i 4 milioni di Sudanesi del Sud in fuga da quattro anni di guerra nel proprio paese, il cessate il fuoco concordato lo scorso 21 dicembre ad Addis Abeba tra le parti in causa e operativo a partire dal 24 dicembre, è probabilmente il più bello dei “regali di Natale”. Ancora non è chiaro se questo cessate il fuoco possa essere il punto di partenza per porre fine a quattro anni di guerra civile, ma per i milioni di civili nella morsa della fame e della violenza della guerra questo è almeno una pausa che permetterà una più facile e migliore assistenza umanitaria a chi ne ha bisogno.

Recentemente le Nazioni Unite hanno stimato e messo in guardia dal fatto che, continuando la guerra civile, nei prossimi tre mesi e mezzo almeno 1,25 milioni di persone avrebbero rischiato di morire di fame nel Sudan del Sud. Altre tre milioni di persone, su una popolazione totale di 11 milioni, sono ormai cronicamente sottonutriti. Nel 2017 il numero delle persone minacciate dalla fame nel Sudan del Sud è passato da 3,7 milioni dell’anno precedente a 4,1 milione di persone.

Per quattro anni l’esercito regolare e i signori della guerra con le loro milizie si sono affrontati commettendo entrambi sistematicamente crimini contro l’umanità e ignorando la tutela della popolazione civile nei relativi territori controllati. Ognuna delle parti in causa ha utilizzato gli aiuti umanitari internazionali come arma di guerra, impedendo che raggiungessero la popolazione civile, rapendo o uccidendo i cooperanti internazionali. Solamente lo scorso 21 dicembre sono stati salvati sei cooperanti rapiti da milizie armate.

La tregua appena concordata è una buona notizia per la popolazione civile del Sudan del Sud ma preoccupa il fatto che l’accordo sul cessate il fuoco sia stato raggiunto solamente dopo che il governo USA aveva minacciato pesanti sanzioni al paese in caso fosse saltato l’accordo sulla tregua. Nonostante la catastrofica situazione economica del paese e lo sfinimento della popolazione civile sembra che le parti in causa non siano veramente interessate a trattare la pace. L’attuale cessate il fuoco è stato anche il frutto del lavoro svolto in tal senso dall’Unione Africana e dall’Autorità intergovernativa per lo Sviluppo (IGAD).

L’APM ricorda che le precedenti esperienze di tregue e accordi di pace a cui il Sudan del Sud è stato costretto dalla comunità internazionale purtroppo non sono stati di lunga durata. A maggior ragione la comunità internazionale ora deve vegliare sul fatto che il cessate il fuoco diventi davvero effettivo e venga rispettato affinché si possano creare le condizione per reali trattative di pace.

70 anni fa, la Costituzione

22.12.2017 Rocco Artifoni

70 anni fa, la Costituzione

“Questa Carta che stiamo per darci è, essa stessa, un inno di speranza e di fede”: con queste parole Meuccio Ruini, presidente della Commissione per la Costituzione, il 22 dicembre di 70 anni fa presentò il testo in Parlamento, prima di procedere alla votazione finale. E aggiunse: “Abbiamo la certezza che durerà a lungo e forse non finirà mai, ma si verrà completando ed adattando alle esigenze dell’esperienza storica”.

Parole che dimostrano la consapevolezza e la lungimiranza dei costituenti nel voler “costruire qualche cosa di saldo e di durevole”, il che è possibile soltanto con “uno spirito comune, uno sforzo di unità sostanziale”.

In effetti oggi desta stupore come sia stato possibile che politici tra loro molto diversi per storia e ideologia siano riusciti a trovare un così rilevante punto di incontro e di equilibrio. Meuccio Ruini, proprio quel 22 dicembre del 1947, spiegò che “una Costituzione non può più essere l’opera di uno solo, o di pochissimi. Deve risultare dalla volontà di tutti i rappresentanti del popolo; e i rappresentanti del popolo non si conducono con la violenza; l’unico modo, in democrazia, di vincere è di convincere gli altri”. Tutto ciò comporta sicuramente anche un vantaggio: “Che tutti i rappresentanti del popolo, tutte le correnti del popolo da essi rappresentate possono dire: questa Costituzione è mia, perché l’ho discussa e vi ho messo qualcosa”.

Le attività della Costituente, nel corso di un anno e mezzo, sono la dimostrazione della tenacia che pervase tutti gli eletti e della volontà di assolvere al compito affidato dagli elettori . Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea, parlò giustamente di “lavoro instancabile”. Ne fanno fede le 347 sedute parlamentari, delle quali 170 esclusivamente costituzionali; i 1.663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione, dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1.057 ritirati od assorbiti; i 1.090 interventi in discussione da parte di 275 oratori; i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti; i 40 ordini del giorno votati; gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea; le 23 mozioni presentate, delle quali 7 svolte; le 166 interpellanze di cui 22 discusse; le 1.409 interrogazioni, 492 delle quali trattate in seduta, più le 2.161 con domanda di risposta scritta, che furono soddisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi dicasteri.

Fu ancora Meuccio Ruini a sottolineare come “l’esigenza dell’opera collettiva, della collaborazione di tutti, in democrazia è l’inevitabile ed è la forza stessa della democrazia”. Per questa ragione – aggiunse profeticamente il presidente della Commissione dei 75 – “quando oggi voteremo, il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza; il sicuro avvenire della Repubblica italiana”. Il risultato è noto: 453 voti favorevoli e soltanto 62 voti contrari.

Subito dopo l’approvazione della Costituzione, Umberto Terracini intervenne in Aula per proiettare il risultato verso il futuro: “L’Assemblea ha pensato e redatto la Costituzione come un solenne patto di amicizia e fraternità di tutto il popolo italiano, cui essa lo affida perché se ne faccia custode severo e disciplinato realizzatore. E noi stessi, onorevoli deputati, colleghi cari e fedeli di lunghe e degne fatiche, conclusa la nostra maggiore opera, dopo avere fatta la legge, diveniamone i più fedeli e rigidi servitori”. Non solo: “La Costituzione postula, senza equivoci, le riforme che il popolo italiano, in composta fiducia, rivendica. Mancare all’impegno sarebbe nello stesso tempo violare la Costituzione e compromettere, forse definitivamente, l’avvenire della Nazione italiana”.

A conferma di questa impostazione, chiese la parola anche Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dei Ministri: “Il governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno. Noi tutti però sappiamo, egregi colleghi, che le leggi non sono applicabili se, accanto alla forza strumentale che è in mano al governo, non vi è la coscienza morale praticata nel costume”.

A conclusione della seduta, venne data la parola anche a Vittorio Emanuele Orlando, che aveva aperto i lavori dell’Assemblea Costituente, il quale spiegò come si fosse giunti a questo risultato: “Per merito di chi? Di tutti: attraverso i dissensi, malgrado i contrasti, ognuno di noi ha contribuito a quest’opera. E vi è solidarietà, unità, anche fra coloro che hanno sostenuto le tesi più diverse e più opposte, perché in ciò sta la bellezza della libertà parlamentare”. E così concluse: “Ora, la Costituzione ha avuto la sua consacrazione laica. Essa è al di sopra delle sue discussioni. Noi dobbiamo ad essa obbedienza assoluta, perché io non so concepire nessuna democrazia e nessuna libertà se non sotto forma di obbedienza alle leggi, che un popolo libero si è date”.

A quel punto sembrò che la giornata del 22 dicembre 1947 potesse passare alla storia, ma un deputato a sorpresa chiese la parola, che il Presidente Umberto Terracini immediatamente accordò. Mario Zagari, partigiano già membro del Comitati di Liberazione nazionale (CNL), disse: “Poiché, per ragioni indipendenti dalla mia volontà, non ho potuto partecipare alla votazione finale della Costituzione, dichiaro che, se fossi stato presente, avrei votato a favore”. Questo intervento “postumo” dovrebbe costituire il miglior esempio per l’atteggiamento che tutti i cittadini e soprattutto tutti i rappresentanti del popolo oggi dovrebbero mantenere nei confronti della Costituzione della Repubblica Italiana.

Ministero per la Pace e Dipartimento della Difesa

19.12.2017 – Verona Azione Nonviolenta

Ministero per la  Pace e Dipartimento della Difesa
Il Movimento Nonviolento aderisce alla campagna, promossa dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e rivolta alle Istituzioni, al Parlamento, al Governo, per l’istituzione del Ministero della Pace.

Le motivazioni di questa adesione vengono da lontano e si intrecciano con il nostro attuale impegno nella campagna per la Difesa civile non armata e nonviolenta.

In un articolo del 1948, Aldo Capitini mostrava la speranza che il Fronte Democratico Popolare potesse accogliere la sua proposta di istituire il servizio civile e quella di un Ministero della pace o almeno di un Commissariato per la “Resistenza alla guerra”. La sua proposta fu destinata al naufragio dopo il risultato elettorale da cui la sinistra uscì sconfitta.

Capitini proponeva l’istituzione di un Ministero (o Commissariato – oggi diremmo Dipartimento) per la pace e per la resistenza alla guerra. Questi i compiti da lui immaginati:

“Esso dovrebbe addestrare tutti i cittadini, fin da fanciulli, alla noncollaborazione nonviolenta con un eventuale invasore. In quanti modi si può ostacolare l’invasore senza uccidere nessuno! Ma bisogna imparare, bisogna avere pronti certi mezzi. Una noncollaborazione attivissima di moltitudini non è una terza via oltre la guerra e il cedere? oltre il prendere le armi, che oramai sarebbe sempre al servizio di altri, e il cedere a chi porti la guerra qui?” (Mattino del popolo, 13 marzo 1948).

Settant’anni dopo torna l’idea/proposta, rivolta al mondo della politica, di istituire il Ministero per la pace come una cabina di regia istituzionale che sia in grado di dar corpo ad una politica strutturale per la pace e la prevenzione della violenza. L’ispirazione principale deriva dall’articolo 11 della Costituzione, sia nel suo imperativo di “ripudio della guerra“, sia nella necessità di un “ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Nel contempo c’è bisogno di ottemperare all’articolo 52 della Carta costituzionale, rivolto ad ogni cittadino chiamato al “sacro dovere” della “difesa della patria“.

Costruire la pace e difendere la patria sono le due facce della stessa medaglia.

La campagna “Un’altra difesa è possibile” ha predisposto il testo della proposta di Legge n. 3438 “Istituzione del Dipartimento per la Difesa civile non armata e nonviolenta“, all’esame della Commissione Difesa della Camera, intendendo il nuovo Dipartimento proprio come una “cabina di regia” della varie forme di difesa civile e non armata già esistenti nel Paese: il servizio civile, i corpi civili di pace, la protezione civile. Il riconoscimento giuridico di forme di difesa nonviolenta è già stato fatto proprio dal nostro ordinamento (due sentenze della Corte costituzionale, la n. 164/1985 e 470/1989, la legge del 230 del 1998 di riforma dell’obiezione di coscienza e la legge 64 del 2001 istitutiva del servizio civile nazionale, e con il Decreto Legislativo n. 40 del 6 marzo 2017 sul Servizio Civile Universale).

Dopo 45 anni dall’entrata in vigore della prima legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare e l’avvio del servizio civile, è il momento di sottrarre la parola “difesa” al monopolio militare e di dare corpo ad una politica istituzionale per la pace.

Il Dipartimento della Difesa civile, non armata e nonviolenta ed il Ministero per la Pace sono le due gambe con le quali cammina la necessaria visione del combinato disposto degli articoli 11 e 52 della Costituzione: la costruzione della Pace è il nuovo nome della Difesa della patria.

Mao Valpiana presidente del Movimento Nonviolento

Elezioni regionali della Lombardia: appello per una lista unica, unitaria, civica e di sinistra

18.12.2017 Redazione Italia

Elezioni regionali della Lombardia: appello per una lista unica, unitaria, civica e di sinistra
(Foto di https://pixabay.com/it/consiglio-regione-lombardia-711362/)

Nei prossimi mesi oltre alle elezioni politiche vi saranno anche le elezioni in alcune regioni tra le quali la Lombardia; mentre scriviamo non sappiamo ancora se il voto si terrà o meno nel medesimo giorno, ma la scelta del governo su questo punto, qualunque essa sarà, non modifica l’obiettivo che ci poniamo con questo appello pubblico: la costruzione di un’unica e unitaria lista di sinistra, autonoma e alternativa alle destre, al M5S e al PD

Da oltre vent’anni la Lombardia è governata dalle destre, prima con Formigoni ora con Maroni, i risultati principali, verificabili da chiunque, sono:

  • la privatizzazione della sanità attraverso la continua e pervicace distruzione del Servizio Sanitario Regionale (SSR), la crescita mastodontica del numero delle strutture private convenzionate con il SSR e infine il tentativo (con le ultime delibere sui gestori) di consegnare ai grandi fondi finanziari internazionali e a un pugno di multinazionali la cura di oltre 3 milioni di persone con malattie croniche. Contemporaneamente i cittadini hanno dovuto subire l’inserimento di ticket sempre più alti, la crescita esponenziale delle liste di attesa e le drammatiche conseguenze di vicende come quelle delle cliniche Maugeri e Santa Rita frutto anche dell’assenza di qualunque serio controllo sulle strutture private convenzionate da parte della Regione.
  • la devastazione del territorio come avvenuto con il moltiplicarsi di autostrade inutili, dannose e costosissime (BREBEMI, TEM, Pedemontana) in un’area geografica che è già tra le più inquinate d’Europa e che necessiterebbe di ben altri interventi in favore della salute collettiva, quali la limitazione alla circolazione dei SUV, dei diesel, solo per citarne alcuni. Nel contempo l’agricoltura, l’ecosistema e le superfici verdi sono state aggredite ferocemente e il trasporto pubblico è stato tagliato in tutte le zone periferiche. Il modello EXPO, oltre il racconto entusiasta e fasullo, lascia debiti e precariato.
  • l’abbandono di qualunque politica in favore della scuola pubblica: lo stato degli istituti scolastici è fatiscente, i tagli dei finanziamenti all’istruzione hanno prodotto un abbassamento del livello complessivo del nostro sistema scolastico, posto in discussione il diritto allo studio, rendendo sempre più difficile la frequenza scolastica ai figli delle famiglie meno abbienti e ai giovani con disabilità. Sono invece aumentati enormemente gli stanziamenti a favore delle scuole private sostenute con fondi pubblici in palese contrasto con quanto previsto dalla Costituzione;
  • l’assenza di politiche attive per il lavoro e contro la disoccupazione con l’abdicazione e la privatizzazione del sistema pubblico e di qualsiasi forma di programmazione economica. Decine di vertenze aziendali sono state abbandonate a se stesse senza investimenti produttivi e prospettive, in una fase di assalto al diritto del lavoro. Nessuna attenzione e zero risorse sulla vera “grande opera” da promuovere: la cura e la manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio. Nessuna attenzione per la bonifica e il riassetto idrogeologico dell’intero Paese e della Lombardia che produrrebbe buona occupazione, formazione qualificata e sicurezza sui posti di lavoro;
  • la distruzione del patrimonio di edilizia popolare, che ha condotto al mancato utilizzo di migliaia di alloggi pubblici, non assegnabili perché, senza interventi di ristrutturazione,   mancano dei requisiti minimi ai sensi di legge per poter essere dichiarati abitabili. Tutto ciò mentre nella sola Milano sono decine di migliaia le famiglie in attesa di poter ottenere l’assegnazione di un alloggio pubblico.

Il collante culturale alimentato nella nostra regione dalle destre al governo è quello dell’individualismo e del disprezzo per il più debole fino al sostegno verso vere e proprie forme di razzismo e alla legittimazione di gruppi che esplicitamente si richiamano al fascismo.

La legge regionale che rende quasi impossibile la costruzione di moschee è un esempio di una cultura che alimenta l’intolleranza e lo scontro tra religioni.

In questi lunghissimi ventidue anni la destra ha potuto governare la nostra Regione con modalità che più volte hanno richiamato forme di potere assoluto: il ruolo dell’opposizione di centrosinistra è stato inesistente, assolutamente impercettibile agli occhi e alle orecchie dei cittadini lombardi. Il centrosinistra e il PD hanno costantemente perseguito l’obiettivo di accordarsi, ovviamente non in modo ufficiale, con le destre al governo, mostrandosi molto interessati a condividere fette di potere nei vari gangli del sottogoverno, delle nomine e degli appalti piuttosto che a realizzare una vera opposizione.

È in questo contesto che è dilagata la corruzione sempre strettamente intrecciata tra potere politico ed economico, come evidenziato dalle numerose inchieste della magistratura.

L’opposizione alle giunte di destra si è manifestata, in questi decenni, nelle migliaia di iniziative che una miriade di associazioni, comitati, gruppi spontanei di cittadini piuttosto che realtà culturali e sociali, fortemente strutturate e inserite nel territorio, hanno costruito spesso potendo contare solo sulle proprie energie e sul sostegno delle forze politiche di sinistra non compromesse con la gestione delle giunte Formigoni prima e Maroni in tempi più recenti.

Attorno a queste iniziative, delle quali siamo stati parte attiva e spesso promotori e organizzatori, si è costruita un’unità che da tempo ci spinge ad agire insieme nella difesa del territorio e dei diritti universali alla salute, al posto di lavoro all’istruzione e alla casa. La stessa unità che ci ha permesso insieme di contribuire a vincere il referendum del 4 dicembre 2016 in difesa della Costituzione.

Indipendentemente dalle scelte che ciascuno farà a livello nazionale, tutti noi siamo convinti che nella nostra Regione sia necessario e possibile raggiungere l’obiettivo di un’unica lista nella quale possano portare il proprio contributo, sentendosi a casa propria, quei tanti settori della società civile che da lungo tempo, con impegno e coerenza, ognuno con la propria storia e identità, hanno tenuto vivo nel nostro territorio l’idea di una cittadinanza solidale e consapevole.

Ciò che ci unisce è più forte di ciò che può dividerci e sarebbe imperdonabile sprecare l’opportunità che oggi si presenta di costruire una reale opposizione al governo delle destre ben sapendo che, senza questo primo passo, diventa impossibile pensare di costruire nel futuro un’alternativa in grado di coinvolgere la maggioranza dei nostri concittadini.

Lanciamo un appello a tutte e a tutti i cittadini, alle realtà sociali e politiche organizzate a partecipare alla costruzione di un percorso includente e senza veti. Da parte nostra ci assumiamo solo una responsabilità: quella di funzionare da facilitatori per avviare il cammino e con questo spirito chiediamo a tutti singoli, collettivi e forze organizzate di pronunciarsi sulla nostra proposta e di essere disponibili in tempi ravvicinati ad incontrarsi.

Vittorio Agnoletto, Fulvio Aurora, Edoardo Bai, Piero Basso, Vittorio Bellavite, Roberto Biorcio, Alessandro Braga, Alessandro Brambilla Pisoni, Franco Calamida, Elisabeth Cosandey, Cristina Cattafesta, Roberto Escobar, Leo Fiorentino, Massimo Gatti, Antonio Lareno, Corrado Mandreoli, Maria Grazia Meriggi, Emilio Molinari, Silvano Piccardi, Paolo Pinardi, Albarosa Raimondi, Basilio Rizzo, Augusto Rocchi, Erica Rodari, Anita Sonego,  Guglielmo Spettante, Gianni Tognoni.

Per le adesioni inviare una mail  a: costituzionebenicomuni@gmail.com