La testimonianza del deportato Mario Guidi

Mario Guidi

…gli orrori di cui sono stato testimone, gli stenti, la fame, le angherie subite sono ricordi indelebili, non si possono cancellare.

Nato nel 1926 ad Olgiate Olona. Giunge a Flossenbuerg il 23 gennaio 1945 dopo la carcerazione a San Vittore e la deportazione nel lager di Bolzano. Sopravvissuto.

“Sono stato richiamato nel maggio del 1944 con un bando che era stato esposto sui muri dai fascisti, ma non mi sono presentato; sono scappato in Brianza in attesa di andare in montagna. Però mi hanno poi preso a Agrate primo di novembre dello stesso anno insieme con Lisetto Casanova e sono stato portato in Germania nel campo di sterminio di Flossenbuerg.

Mi ricordo che una sera mentre tornavo da Castellanza, sono stato fermato da una pattuglia di tedeschi e fascisti; con me c’era anche il Lisetto Casanova, il Nino Banfi con altri giovani. Eravamo nella zona della Garantola ed allora approfittando di un attimo di distrazione dei tedeschi siamo riusciti a fuggire saltando le siepi e tornare a casa. Quando poi mi presero mi portarono con Lisetto, dopo alcuni interrogatori, a San Vittore, il carcere di Milano, siamo stati fortunati perché ci siamo dichiarati capaci di fare diversi lavori: feci così l’inserviente alla mensa delle guardie. In queste modo potevamo procurarci da mangiare anche per gli altri compagni di cella. Noi ci tenevamo buono le guardie perché davamo anche a loro qualcosa da portare a casa per la famiglia così anche loro chiudevano un occhio. Così potevamo anche aiutare altri detenuti come quelli del sesto raggio, infatti alla sera quando rientravamo in cella, facevamo scivolare nelle loro celle, che erano ad un libello più basso del cortile, delle bottiglie di latte, mentre le guardie facevano finta di non vederci. Da San Vittore fummo poi portati a Bolzano, dove io e Lisetto fummo divisi, ci perdemmo di vista.

Da Flossenbuerg ebbi molta fortuna, mi salvai durante la marcia della morte (chi cadeva durante quella marcia di trasferimento, veniva ucciso sul posto, ndr.), con gli Americani che incalzavano da vicino i tedeschi, un ufficiale italiano anche lui deportato, mi aiutò a defilarmi dalla colonna di disperati ridotta allo stremo e votata alla eliminazione sicura. Vagammo per una notte, fino a quando una pattuglia americana ci incontrò. È stato un miracolo!

Dopo che sono tornato dalla deportazione, nel 1963 ricevetti dal Governo tedesco, un “indennizzo”. Ma gli orrori di cui sono stato testimone, gli stenti, la fame, le angherie subite sono ricordi indelebili, non si possono cancellare.”

Ancora su Orrù

Nel libro “Quei ventenni del ’43” di Paolo Pozzi (Ed. Macchione) si legge:

“Cosimo Orrù: sardo, nato nel 1910

Si laurea in giurisprudenza, esercita a Bergamo e arriva a Busto Arsizio nel 1934. Si iscrive al Partito d’Azione dopo l’8 settembre.

Il fratello è medico nel rione S. Michele ed è detto il “medico dei partigiani”.

Nel Tribunale di Busto il giudice è conosciuto come antifascista viene perseguitato e in una nota della Questura si legge “addì 21/06/1944 il giudice Orrù non è in ufficio perché a disposizione della SS. Germania”.

Viene cioè arrestato e mandato a San Vittore da dove verrà portato in Germania nel campo di concentramento di Flossenbuerg.

L’autore aggiunge ancora a pag. 119: “Amelia Castiglioni, una giovane impiegata presso il Cotonificio Bustese di Olgiate Olona, effettivamente legata a Cosimo, riuscirà più tardi a ricostruire i suoi spostamenti ed a seguirli fino a Bolzano. Da lì perderà ogni traccia.”.

Amelia Castiglioni nelle votazioni del 1946, a Olgiate Olona, sarà eletta nella lista del P.C.I.

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“Il 26 luglio del 1943 la città è in fermento, soprattutto le fabbriche. Cortei di operai si dirigono verso il Comune, la Casa del fascio e il Tribunale. Un consistente gruppo di lavoratori occupa la piazza antistante Palazzo Cicogna; ad una delegazione è consentito di entrare. A ricevere gli operai, anche un giudice di fede antifascista, Cosimo Orrù.”

Da un manifesto ANPI di Busto Arsizio

 

 

Guidi Mario

 

Foto 7: “Arrestato dal comando tedesco in Olgiate Olona il giorno 1-10-1944.
Trattenuto con mio padre per tre giorni in magazzino, dopo vari interrogatori fui trasferito nel carcere di Varese da solo.
Vi rimasi per circa 5 o 6 giorni.
Trasferito a Como vi rimasi circa 15 giorni.
Da Como al carcere di San Vittore a Milano, rimasi circa un mese.
Da Milano a Bolzano, da Bolzano in Germania (campo )
Venni liberato durante la marcia d’eliminazione dagli Americani il 7 maggio 1945.
Rientrato in Italia nel luglio 1945.
Guidi
Mario.

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8 settembre 1943: militari allo sbando – MARIO GUIDI (DEPORTATO)

 8 settembre 1943: militari allo sbando

MARIO GUIDI (DEPORTATO)
“Io sono stato richiamato nel maggio del ’44 con un bando che era stato esposto sui muri fascisti, ma non mi sono presentato; sono scappato in Brianza in attesa di andare in montagna.
Però mi hanno poi preso ad Olgiate il primo novembre dello stesso anno insieme col Lisetto Casanova e sono stato portato in Germania a Flossemburg.
Mi hanno poi liberato gli americani ai primi di aprile del 1945, mentre mi stavano portando alla eliminazione. E’ stato un miracolo.”

“Mi ricordo che una sera tornavo da Castellanza quando sono stato fermato da una pattuglia di fascisti e di tedeschi; con me c’erano anche il Lisetto Casanova e il Nino Banfi con altri giovani.
Eravamo nella zona della Garantola ed allora io, approfittando di un attimo di distrazione della pattuglia, sono scappato saltando delle siepi e sono tornato a casa.”

“Quando poi mi presero mi portarono col Lisetto, al carcere di S. Vittore.
Siamo anche stati fortunati perché ci siamo dichiarati capaci di fare diversi lavori: io infatti facevo l’inserviente alla mensa delle guardie.
In questo modo potevamo procurarci da mangiare anche per gli altri compagni di cella.
Noi ci tenevamo buone le guardie perché davamo anche a loro della roba da portare a casa alla famiglia per mangiare e quindi chiudevano un occhio.
Così potevano aiutare anche i detenuti politici del sesto raggio perché alla sera, quando rientravamo nella cella, facevamo scivolare nelle loro celle, che erano ad un livello più basso del cortile, delle bottiglie di latte, mentre le guardie facevano finta di non vederci.
Dopo che sono tornato dalla deportazione in Germania mi è stato dato un indennizzo da parte del Governo tedesco.
Questo avvenne nel 1963.”

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Campo di concentramento di Flossenbürg

Per un primo approfondimento della testimonianza del deportato olgiatese Guido Mario nel campo di concentramento di Flossenbürg

https://it.wikipedia.org/wiki/Campo_di_concentramento_di_Flossenb%C3%BCrg

Flossenbürg

Costituzione
: 16 maggio 1938
Ubicazione: a nord-est di Norimberga


link al sito ufficale:
http://www.gedenkstaette-flossenbuerg.de/kontakt/

Lager “di frontiera”, situato nel nord-est della Baviera vicino al confine con la regione dei Sudeti (all’epoca territorio cecoslovacco), il KL Flossenbürg fu aperto il 3 maggio 1938 da prigionieri provenienti da Dachau. Le categorie destinate al campo furono inizialmente quelle degli “asociali” e dei “criminali” (triangoli neri e verdi); come a Mauthausen, fu la DEST (fondata nell’aprile 1938) a far lavorare i prigionieri nelle cave di pietra circostanti. Ai primi quattrocento prigionieri di Dachau si aggiunsero, in novembre, altri 1.300 internati provenienti inhttp://www.gedenkstaette-flossenbuerg.de/ gran parte da Buchenwald e Sachsenhausen.

La possibilità di sfruttamento intensivo e fortemente redditizio della manodopera schiavile fece salire, nel giro di un anno, il numero dei prigionieri a 3.000 (contro una capienza iniziale progettata di 1.600 persone).
Con l’inizio e l’evoluzione della guerra, e l’aumento della popolazione del Lager, il lavoro e l’assetto del campo subirono consistenti modifiche. I primi deportati non tedeschi furono “politici” cecoslovacchi e polacchi, giunti a partire dalla primavera 1940; alla fine dello stesso anno giunsero anche i prigionieri di guerra sovietici, confinati in tre blocchi (11-13) isolati all’interno stesso del Lager. A partire dal 1942 vennero aperti sottocampi destinati alla produzione di armi e macchine belliche (tra le altre, spicca la produzione degli aerei Messerschmitt 109). Distribuiti tra Baviera, Sassonia e Boemia, arrivarono al numero di 97: cinque di essi furono ceduti dall’amministrazione del Lager di Ravensbrück a quella di Flossenbürg nel settembre 1944. Circa la metà (45) erano sfruttati per la produzione industriale; in un quarto di essi (22) si svolgevano attività legate all’edilizia e alle costruzioni. Tra i sottocampi più grandi vanno ricordati quelli di Hersbrück (oltre 4800 internati) e Leitmeritz (Litomerice; oltre 5.000 internati). In quello di Mülsen-Sankt Micheln, si ebbe anche una rivolta dei prigionieri, soffocata nel sangue (maggio 1944).
Luogo di “sterminio attraverso il lavoro”, Flossenbürg conobbe anche esecuzioni di massa mirate, soprattutto di prigionieri di guerra sovietici. A russi, polacchi e cecoslovacchi fu riservato un apposito settore nel Lager principale, con una capienza (nel 1944) di circa 8.000 prigionieri.
A Flossenbürg furono eseguite anche condanne a morte legate all’attentato contro Hitler, tra qui quella del teologo e filosofo Dietrich Bonhoeffer.
Campo maschile fino al gennaio 1943, Flossenbürg vide poi affluire un numero crescente di donne deportate, sempre distribuite nei Lager dipendenti (un settore femminile nel Lager principale fu aperto solo nel marzo 1945).
Al termine di questo periodo (fine 1944) il sistema di Lager coordinato dal KL Flossenbürg racchiudeva circa 40.000 prigionieri, di cui 11.000 donne. Nel 1945 affluirono deportati evacuati dai Lager dell’Est (Auschwitz) e da altri che venivano progressivamente sfollati (Gross Rosen, Buchenwald). A metà aprile i prigionieri risultavano 45.813 (di cui 16.000 donne); nella prospettiva di un’avanzata della 90a Divisione di Fanteria USA,  il Lager principale fu evacuato e i 14.800 prigionieri in grado di camminare furono avviati a Sud (negli stessi giorni era in atto l’evacuazione, con altrettante “marce della morte”, dei vari sottocampi). La marcia durò tre giorni, fino a quando la colonna fu intercettata dalle truppe alleate; morì circa un terzo dei prigionieri, a cui si devono aggiungere i 1.500 morti nell’evacuazione complessiva dei sottocampi. Il Lager principale fu liberato il 23 aprile; vi si trovavano ancora 1.500 prigionieri, malati o impossibilitati a muoversi.

Secondo le fonti più recenti risultano registrati nell’insieme del Lager principale e dei sottocampi 96716 internati, di cui circa 16000 donne. I morti individuati sono circa 30000. Si tratta, come spesso avviene in questo tipo di ricerche, di cifre non sicure e approssimate per difetto. Oltre ai casi di mancata registrazione, risulta infatti che a Flossenbürg i numeri di matricola di prigionieri deceduti venivano riassegnati, almeno fino al marzo 1944.

Quanto alle nazionalità dei prigionieri, polacchi e sovietici assommavano al 60% del totale, seguiti da ungheresi (9%), francesi (7%) e tedeschi (5%) . Gli ebrei passati per Flossenbürg sono stati circa 10.000.

I deportati italiani a Flossenbürg

Se i primi italiani arrivarono da altri Lager già nel 1943, nell’ordine di alcune centinaia, poco più di 2.600 italiani furono deportati dall’Italia a Flossenbürg tra il settembre 1944 e il gennaio 1945, con tre trasporti partiti da Bolzano (settembre e dicembre 1944, gennaio 1945) e due da Trieste (dicembre 1944 e gennaio 1945).
Tra i 3.020 nominativi di italiani individuati risultano 342 donne. Anche fra queste alcune provenivano da altri Lager; in particolare un certo numero di “politiche” (per la precisione operaie arrestate dopo gli scioperi del marzo 1944), in un primo tempo inviate a Birkenau e di qui trasferite a Flossenbürg. Rimane da studiare con precisione la percentuale dei decessi. Un terzo degli italiani (1.077) è sicuramente morto in Lager; ma solo di 180 deportati è attualmente documentata la liberazione.

Il Lager dopo il 1945

Le strutture del Lager furono utilizzate in un primo tempo per la detenzione di prigionieri tedeschi (per la maggior parte SS) sotto custodia alleata (luglio 1945-aprile 1946). Successivamente e fino al 1947 le strutture vennero occupate dall’UNRRA, organizzazione ONU che si occupava di profughi e di famiglie disperse (“Displaced Persons”). Vi erano, tra i rifugiati, anche ex prigionieri, che organizzarono una parte dell’area a ricordo dello sterminio: la zona interessata è quella della cosiddetta “Valle della morte”, incentrata sul crematorio (conservato e aperto ai visitatori fin dal 1946), all’ingresso della quale fu edificata una cappella cattolica con le pietre delle torri di guardia. La zona circostante e a monte del piazzale dell’appello è stata sottoposta,negli anni successivi, a una completa ristrutturazione edilizia (edifici residenziali), dietro la quale si scorge con difficoltà la disposizione originaria del campo. Nel 1966 fu aperto un museo nel blocco dell’ex prigione; nel 1995 è stato inaugurato un luogo di culto ebraico a fianco della cappella.

Indicazioni bibliografiche

I dati e le statistiche sono stati ricavati, tra l’altro, da:
Das nationalsozialistische Lagersystem, Frankfurt a.M., Zweitausendeins, 1990 (riediz. a c. di M. Weinmann et al. del Catalogue of Camps and Prisons in Germany and German-occupied Territories, Arolsen 1949)
Gudrun Schwarz, Die nationalsozialistischen Lager, Frankfurt a.M., Fischer, 1990
Valeria Morelli, I deportati italiani nei campi di sterminio, Milano, 1965
I.Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai Lager nazisti. I “trasporti” dei deportati 1943-1945, Milano, Franco Angeli,  1994
I.Tibaldi, Calendario della deportazione politica e razziale, Aned Piemonte-Consiglio Regionale del Piemonte, Arezzo, 2003
Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7982 storie individuali, Milano, Mimesis, 2005, online su questo sito
(altre informazioni sono state fornite da Italo Tibaldi che qui ringrazio).

Ulteriori informazioni di carattere storico e documentario si possono rintracciare nel Dizionario della Resistenza, a c. di E. Collotti, R. Sandri e F. Sessi, Torino, Einaudi, 2001, vol. II, pp. 458-9 (scheda di C. Saletti).
Molto utile la consultazione (in tedesco) del sito http://www.gedenkstaette-flossenbuerg.de/



Memorialistica italiana

Flossenbürg è stato raccontato assai presto, nell’ormai introvabile Il triangolo rosso del deportato politico n. 6017 di P. Da Prati (Milano, Gastaldi, 1946), in cui trovano ampia descrizione molti altri Lager e  sottocampi, da Bolzano a Saal-Donau, Mauthausen, Linz e Dachau.
Altro resoconto di particolare interesse ed efficacia è quello di un religioso, padre Giannantonio Agosti ofm, Nei lager vinse la bontà, Milano, Artemide, 1960 e 1987 (online su questo sito), ricco di ritratti di compagni di deportazione tra cui quello di Teresio Olivelli.
Ricco di umanità e caratterizzato da uno sviluppo non semplicemente cronachistico, nonostante il titolo, è il racconto di S. Rusich De Moscati, Il mio diario: a venti anni nei campi di sterminio nazisti. Flossenbürg 40301, Fiesole, ECP, 1992. Avvenimenti e compagni sono rievocati a quarant’anni di distanza da una memoria in cui prevalgono gli elementi riflessivi rispetto alla descrizione degli eventi compresi fra l’arrivo al Lager e la liberazione.
E’ inserito in una storia autobiografica più ampia, che spazia dal 1929 al 1976 e comprende anche una condanna da parte del Tribunale Speciale e un anno di detenzione a Gaeta e Peschiera, il racconto di deportazione a Dachau e Flossenbürg di G. Ponzuoli, “E il ricordo continua…”: memorie di un ex deportato nei campi di sterminio nazisti, Genova, Tip. Graphotecnica, 1987.
Si vedano anche le prospettive di giovanissimi (17-18 anni) deportati in A. Scollo, I campi della demenza, Milano, Vangelista, 1975, e nelle memorie di F. Varini, Un numero un uomo, Milano, Vangelista, 1982.
Un resoconto attento e minuzioso è quello di G. Cantaluppi, Flossenbürg. Ricordi di un generale deportato, Milano, Mursia, 1995, uscito nello stesso anno in cui sono state pubblicate le memorie di un suo compagno di trasporto, Gianfranco Mariconti, Memorie di vita e di inferno. Percorso autobiografico dalla spensieratezza alla responsabilità, a c. di E. Ongaro,  Sesto S. Giovanni, Il Papiro, 1995.
Su questo stesso sito è reperibile il drammatico resoconto di un superstite, pubblicato postumo a cura dei figli: Italo Geloni, Ho fatto solo il mio dovere, Pisa, 2001.

(lucio monaco)   (fonte: ANED)

Lista dei sottocampi di Flossenbürg

Altenhammer
Ansbach
Aue
Bayreuth
Beverungen
Brüx (Most)
Chemnitz
Dresden
Eger (Cheb)
Eisenberg (Jezeri)
Flöha
Foerrenbach
Freiberg
Ganacker
Grafenreuth
Graslitz (Kraslice)
Gröditz
Gundelsdorf
Hainichen
Happurg
Helmbrecht
Hersbruck
Hertine
Hohenstein-Joachimstthal (Jachymov)
Holleischen (Holysov)
Holzen
Hradischko
Hubmersberg
Janowitz (Janovice)
Johanngeorgenstadt
Jungfernbreschan (Panenske Brezany)
Kaaden (Kadan)
Knellendorf
Koenigstein/Elbe
Krondorf-Sauerbrunn
Leitmeritz (Litomerice)
Lengenfeld
Lobositz (Lobosice)
Mehltheuer
Meißen
Mielec
Mittweida
Mockethal
Moschendorf
Mülsen – St. Micheln
Münchberg
Neurohlau
Nossen
Nürnberg
Obertraubling
Oederan
Pilsen (Plzen)
Plattling
Plauen/Sachsen
Pocking
Porschdorf
Poschetzau (Bozicany)
Pottenstein
Prag (Praha)
Rabstein
Rathen
Ratisbona
Reuth bei Erbendorf
Rochlitz
Saal/Donau
Schlackenwerth
Schönheide
Seifhennersdorf
Siegmar-Schönau
Steinschönau
St. Georgenthal
St. Oetzen
Theresienstadt
Venusberg
Wilischtal
Wolkenburg
Würzburg
Zschachwitz
Zschopau
Zwickau
Zwodau (Svatava)