6) La vita difficile di tutti i giorni

La vita difficile di tutti i giorni

CAROLINA VILLA

“Il giorno dei morti del 1943 sono venuti tre tedeschi a cercare mio figlio Nino per andare a militare ma io ho detto che non era a casa.; allora hanno minacciato che avrebbero bruciato “a curti”.

Allora sono andata a Varese a consegnarlo e l’hanno portato a Monza, “ai casermetti” dove lo hanno picchiato.

Un giorno sono andata a trovarlo e l’ho visto da lontano che portava delle travi di legno con altri.

Ho chiesto di vederlo ma loro non volevano; alla fine mi hanno permesso un colloquio di 5 minuti.

Poi c’è stato un bombardamento e sono scappata in una cascina. Per queste cose sono stata ammalata sette o otto anni. “Varda lu, per un fiò che vita o fà”.

GIUSEPPE BIANCHI

“…Era un momento di tessere e guai se si macinava senza la scheda della macinatura. E la gente non tutti l’avevano e io rischiavo a macinare lostesso.

Veniva la finanza di Varese, l’Ispettorato, veniva a controllare, bloccavamo tutto e dicevano: “Datemi subito le tessere”; volevano il registro delle tessere e io rispondevo. “Io non ho da fermarsi, io devo macinare… e guardi che se cambia bandiera! ….per voi non so cosa ci sarà”. E quello “Ehi, guarda come fai a parlare”. E io: “Bisogna macinare anche senza la tessera, hanno diritto a mangiare tutti”.

“Quelle persone che avevano la tessera pagavano Lire 100 al quintale mentre quelli senza tessera, per esempio se una persona portava Kg. 10 di granoturco da far macinare, veniva tolto Kg. 1 di farina.

Ai partigiani durante la guerra non veniva fatto pagare nulla.”

“Qui vicino c’era il magazzino dei tedeschi e i partigiani venivano alle due, alle tre di notte; c’erano i rifugi e i partigiani erano nei campi, loro avevano fame, avevano bisogno anche loro della farina per fare della polenta… venivano qui e bisognava fare presto. E noi fuori il granoturco che portavano e dentro la farina, senza chiedere niente in cambio; e loro via perché qui c’era pericolo.

E non mi facevo pagare, io ce lo facevo da regalo.

E quando c’è stata la liberazione erano contenti che avevano cacciato i tedeschi e sono venuti qui e uno diceva: “Questo l’è il mugnaio …questo ha guadagnato , ha rubato durante la resistenza…è uno da epurare”.

Da parte però c’era proprio uno che veniva di notte a cambiare il grano con la farina e allora ha detto “Ohelà, altolà; questo è un mugnaio non da epurare ma da ammirare”.

 

STEFANINA GEDI (NINA)
“Io uscivo da Messa alla domenica mattina presto… allora c’erano sette, otto, nove donne vicino al mulino che aspettavano e volevano la farina da fare polenta. Cosa dovevo fare?
Ne davo due chili per una ed erano tutte contente.
Come si faceva a lasciare le donne senza farina? Finché ce la avevo la davo…”
“Erano tesserati, eh!”
Veniva la finanza da Varese e io dicevo: “Sono tanti “por balitt”” e ho dato loro un po’ di farina.
E quella volta non hanno parlato più … quelli lì di Varese”.

GIUSEPPE MENZAGHI

“Vicino a casa mia c’era una crocerossina che si chiamava Maria Colombo che ha sposato un Saporiti e che era impiegata in Comune.

Per merito della Maria (del Mentin) e della Vanny Ganna ricevevo a casa la decade che dovevo prendere da militare, anche se ero scappato.”

“Un giorno sono venuti a casa mia, non so che soffiata c’è stato, due fascisti: un ragazzino e un vecchio che mi cercavano. Mia mamma allora, per mantenersi, cucinava le camicie dei militari per guadagnare qualche soldo. Si è salvata con quelle lì e con delle lettere che io avevo mandato dalla Germania e nelle quali dicevo che stavo bene. Non potevo mettere i pensieri miei, dato che ero lontano.”

GIOVANNI GALBERSANINI
“Quando ero al Pignone nascosto, i tedeschi un giorno hanno puntato la pistola alla mia nonna che veniva su a portarmi da mangiare.
Lei da Prospiano veniva su al Pognone; lì c’era anche il mio cugino Nino Ciceri.
Mia nonna mi portava su un po’ di patate, perchè mio nonno aveva la campagna, un po’ di farina, un po’ di riso… quello che poteva “fregare” al marito”.

 

PIERA COLOMBO MALTAGLIATI

(IMPIEGATA COMUNALE A QUEI TEMPI)

“Durante la guerra, e durante la Resistenza, c’erano i bollini per comprare quasi tutto: pane, latte, carne, riso, legna, zucchero…

In Comune c’era l’Ufficio Annonario che controllava la distribuzione dei bollini.

I prezzi erano calmierati, cioè uguali per tutti; il Podestà però poteva, in certe zone, correggerli secondo i casi.

Venivano assegnati i bollini per l’acquisto di gr. 70 di carne alla settimana per persona; la legna era fissata in Kg. 50 al mese per persona ed il messo comunale andava nelle cascine e stimava il quantitativo che il contadino poteva consumare per sé e la legna che invece doveva vendere con la tessera; il contadino firmava una carta che veniva poi recapitata in Comune.

Per i vecchi, i malati e i bambini c’erano poi dei supplementi di tessera.

Il pane era fissato in gr. 100 per persona al giorno e all’Ufficiale Sanitario si rendeva conto personalmente se nella famiglia c’erano dei bisognosi e ogni mese presentava una relazione in Comune che rilasciava tessere di supplemento, nei casi di bisogno.

Il latte era il genere alimentare più importante; a ciascun bambino veniva assegnato mezzo litro di latte a testa al giorno, se non aveva compiuto un anno e se veniva presentato il certificato di allattamento artificiale.

Dopo il compimento dell’anno, e per ogni adulto, veniva assegnato un quarto di latte al giorno.

Per il reperimento del latte necessario, ogni contadino doveva denunciare in Comune quanti litri di latte al giorno produceva. Da questo quantitativo veniva detratto un litro per la famiglia, un tot per il vitello (se la mucca aveva figliato) ed il resto doveva essere venduto a chi aveva la tessera.

Era il Comune che stabiliva da quale contadino andare a prendere il latte.

Allora, per noi che avevamo bottega, era un’impresa tener la contabilità. Si figuri che ogni sera dovevamo raccogliere tutti i bollini e metterli in bustine in numero di cento, tenere aggiornato il registro dei clienti ed ogni mese portare il tutto in Comune che si dava gli ordinativi di acquisto all’Ammasso, a seconda delle necessità e dello smercio del mese precendente.”

SERAFINO SAPORITI

“I bollini servivano anche se si andava a mangiare da qualche altra parte.

Ricordo che in viaggio di nozze a Venezia avevo portato i bollini con me per mangiare al ristorante ma avevo portato anche dei viveri personali (uova sode, una ciambella…) sapendo che i bollini non erano sufficienti per mangiare.

Sono al ristorante e ad un tratto viene una pattuglia a controllare se ho pagato con la tessera; trovano che sono in regola e che quello che sto mangiando in sovrappiù l’ho portato io da casa.”

 

ANGELICA GAMBINI

“Se tenevano da conto qualche bollino del pane, si prendeva i biscotti per dare ai bambini piccoli.”

 

ITALO CASTOLDI

“Dovevi andare in Comune per avere la tessera e, se non eri residente, non ti spettava.

Senza tessera era possibile trovare del pane al mercato nero ma lo pagavi cifre esorbitanti.

Quando andavi dal macellaio ti trovavi la giunta, cioè un pezzo d’osso; se non beccavi il tuo pezzo d’osso non avevi carne.

Principalmente era carne di bassa macellazione, quella che c’era.

Se volevi, potevi trovare al mercato nero, carne di cavallo o di asino.”

 

PIERA COLOMBO MALTAGLIATI

“Un giorno i tedeschi mi chiamarono al Comando in Valle, perché avevo un negozio e il bar, per sapere dove prendevo il latte dato che lo volevano anche loro.

Io, temendo di far restare senza la gente del paese, dimostrai che ne avevo una quantità ridotta per la popolazione e, anche al comando, riuscii a convincerli.”